SIZZLING ROMANCE WITH A KICK-ASS PLOT
Allenamento in Palestra
Scena extra
Katherine
Quindici Anni Dopo
Quella domenica mattina mi svegliai come se fosse un giorno qualsiasi, per prepararmi per andare al lavoro.
Solo che non era un giorno come gli altri.
Quando uscii dalla doccia, la casa profumava di uova fritte e pancetta. Max era in cucina, piegato sopra il fornello, e stava armeggiando con una spatola.
Lo abbracciai da dietro. "Ti sei svegliato presto."
Sospirò tra le mie braccia. "Certo. Oggi, sono il tuo sherpa."
"E questo include la colazione?"
"Certamente!"
In quei quindici anni, Max era invecchiato meravigliosamente. I suoi capelli castani erano diventati ogni anno più chiari, fino ad assumere un colore sabbia. Aveva un minimo accenno di zampe di gallina ai lati degli occhi, che erano intensi e acuti come quando l'avevo conosciuto, anni prima. Ma a parte le rughe e il colore dei capelli, era in forma come sempre.
Facemmo colazione insieme in silenzio, divorando pane con uova fritte e pancetta, e una ciotola di farina d'avena. Poi presi la mia borsa, che era già pronta vicino alla porta, e seguii Max nel garage. A quell'ora del mattino, il quartiere periferico di Denver era ancora silenzioso. Mentre ci allontanavamo, guardai la nostra casa: era una Craftsman di tre piani che Brody aveva ristrutturato oltre dieci anni prima, con l'intenzione di rivenderla dopo un paio d'anni. Invece, era diventata la nostra casa.
Mi mancava il piacere di andare al negozio a piedi, ma vivere con i miei tre uomini fantastici ne valeva la pena.
Avvicinandoci a Magnolia Street, il traffico diventò più intenso. C'erano varie strade chiuse, quindi dovemmo zigzagare tra le stradine secondarie per arrivare al parcheggio. Era già quasi pieno e per trovare un posto dovemmo girare fino al terzo livello.
"C'è molta gente" notai.
"Quasi il doppio dell'anno scorso" rispose Max. "Incredibile, no?"
C'erano decine di atleti che uscivano dal parcheggio. Io e Max ci unimmo al fiume di gente e li seguimmo fino a Magnolia Street. Tutto l'isolato era stato chiuso al traffico, ed era invaso da una massa di persone che si preparavano per la gara. Mentre ci avvicinavamo al mio negozio, ero raggiante di orgoglio. Sulla strada di fronte c'era un enorme arco gonfiabile con un enorme cartello:
VINYL HIGH RECORDS
DECIMO TRIATHLON OLIMPICO ANNUALE
Max mi mise un braccio attorno e fece un gesto. "Immergiti. Questa volta, lo vedrai dal punto di vista degli atleti!"
"Non mi stai aiutando a rilassarmi" dissi seccamente. "Mi stai rendendo più nervosa."
"Volevo solo che lo apprezzassi. Immergiti, Kat."
"Mi immergerò quando avrò finito."
Lasciai la borsa nella zona di transizione bici-corsa, e andai al Vinyl High, che era già aperto. C'erano dei tavoli allestiti con banane, bagel, Gatorade e caffè. Presi un Gatorade e vidi Paul dietro il bancone della cassa.
"Signora capo!" disse quando mi vide. "Che ci fai qui?"
"Dove dovrei essere?" gli chiesi. Vidi con soddisfazione che indossava la targhetta di manager. A volte preferiva dimenticarla, per poter socializzare con i clienti, senza formalità.
Scrollò le spalle. "Ti stai riscaldando, o qualcosa del genere? Non so cosa facciate voi triatleti matti, prima delle gare."
"Non sono ancora una triatleta" lo corressi. "Devo ancora fare la gara."
Arrivò Max e disse: "Sta facendo la modesta." Lui e Paul si salutarono col pugno. "Sono quindici anni che si allena per questo."
"Con delle interruzioni" risposi. "Ma questa è la prima volta che mi alleno per due anni consecutivi. Mi sento ancora una novellina."
Max mi avvolse il braccio alla vita e mi baciò sulla tempia. "Pensa solo a divertirti. La tua prima gara sarà sicuramente un record personale."
"Se arrivo fino alla fine."
Lui scosse la testa, esasperato. "Era così insicura, prima che la conoscessi?" chiese a Paul.
"Oh sì. Molto." Paul vide lo sguardo arrabbiato che gli lanciai, quindi disse rapidamente: "Dove sono gli altri?"
"Dormono. Arriveranno più tardi."
Max mi diede una pacca sulla schiena. "Credo che stiano chiamando i concorrenti per la partenza."
Mi tolsi i pantaloncini e rimasi con la tuta da triathlon. Paul mi diede un ultimo abbraccio. "In bocca al lupo, signora capo. O quello che vi dite tra di voi."
Max mi abbracciò così forte che pensavo che mi rompesse una costola. "Attieniti al tuo piano. Non partire troppo veloce. Nei primi otto chilometri, il tuo cuore deve trovare il ritmo, poi parti forte."
Lo baciai. "Ti amo."
Uscii dal negozio e andai fino alla Rocky Mountain Fitness, dove gli autobus stavano aspettando gli atleti. Aspettai dieci minuti per salire, poi altri venti minuti per arrivare al lago artificiale di Cherry Creek. Tutta la zona era bagnata dalla luce dura dei lampioni, poiché il sole non era ancora sorto. Più avanti c'era la superficie immobile del lago artificiale, calma rispetto al caos che si era riversato sulla riva.
Trovai facilmente la zona di transizione nuoto-bici, vicino all'acqua. Controllai la mia bici, mi assicurai che tutte le marce girassero liberamente, e poi mi infilai la muta. La temperatura dell'aria non era troppo male per il mese di aprile in Colorado, ma l'acqua era fredda. Erano necessarie le mute.
Mi feci strada tra i circa mille atleti, e arrivai alla zona della fascia d'età 41-45. Guardai il cartello con una smorfia, ma solo per un momento. Molte donne odiano arrivare ai quarant'anni, ma io non ero mai stata più felice ed ero più in forma e in salute che mai. Da quando avevo iniziato ad andare alla RMF, quindici anni prima, mi sembrava che ogni anno fosse migliore del precedente. Quante persone possono dire questo?
Per scaldarmi durante l'attesa, feci dei saltelli. Non era facile, con la muta addosso, ma riuscii a scaldarmi il sangue. Mi sentivo già nervosa. Ero pronta a partire. Quell'attesa serviva solo a farmi pensare a cosa dovevo fare.
Un chilometro e mezzo a nuoto, quaranta chilometri in bici, poi dieci chilometri di corsa fino al traguardo. Un triathlon olimpico.
Non avrei dovuto sentirmi così tesa, dopo aver visto Max e Brody farlo così tante volte. Ma ero nervosa. Trovarsi nel recinto di partenza, in una lunga fila di atleti che serpeggiava verso l'acqua, non era affatto come guardare da dietro le barriere.
Esplose un colpo di pistola vicino la riva, indicando la partenza di un'altra fascia d'età. La fila di atleti avanzò lentamente. Ci fu un altro sparo, poi un altro ancora.
E quando la fascia di età 41-45 arrivò in prima fila, il marciapiede cedette il posto alla sabbia fredda. Eravamo i prossimi.
"Un minuto!" annunciò l'altoparlante. Entrammo in acqua fino alla vita. L'acqua sembrava gelata, anche se sapevo che era a sedici gradi. Ignorai il freddo, immersi gli occhialini nell'acqua, vi sputai dentro e li sfregai con i pollici. Non mi vergognavo più di sputare negli occhialini, come quando avevo iniziato a nuotare in palestra. Molti altri nuotatori attorno a me fecero la stessa cosa.
Mi infilai gli occhialini sopra la cuffia, mi assicurai che fossero stretti e feci un respiro profondo.
Era ora di iniziare il mio primo triathlon.
Niente di speciale. È una domenica come le altre.
Si sentì lo sparo.
Mi lanciai in avanti nell'acqua e tutti i pensieri lasciarono la mia mente. Iniziai a nuotare in stile libero, respirando rapidamente ad ogni bracciata, fino a trovare il mio ritmo. Sentivo la presenza degli altri triatleti ai miei lati, che spruzzavano l'acqua e creavano onde attorno a me. Cercai di rimanere distante da loro e di stabilizzare il respiro.
Nuotare nell'acqua aperta è un fenomeno strano, quando si è abituati a nuotare in piscina. Mi resi subito conto che ero abituata a guardare le piastrelle sul fondo della piscina. Qui, nel bacino idrico, tutto era nero pesto. Era sorprendentemente difficile nuotare dritto. Ogni minuti dovevo sollevare la testa fuori dall'acqua per vedere dove andavo.
L'altra differenza era la mancanza delle corsie. Tra le trenta donne della nostra fascia di età, una o due erano già avanti, ma il resto si era raggruppato come un banco di pesci. Sentivo delle persone su entrambi i lati, e di tanto in tanto sentivo delle mani sfiorarmi i piedi, ma a parte quello tutti restavamo sulla loro traiettoria.
Mi concentrai sulla respirazione, per rendere ogni bracciata fluida ed efficiente. Efficiente è lo stesso di veloce, mi diceva sempre Max. Specialmente in una gara di resistenza come il triathlon.
Prima che me ne rendessi conto, stavamo arrivando a un'enorme boa gialla nel mezzo del laghetto, che segnava il punto di ritorno. Tutti i nuotatori si ammassarono insieme per girare attorno alla boa, poi si sparsero di nuovo sulla via del ritorno. A sinistra, vedevo tutti i ritardatari del mio gruppo che stavano ancora andando verso la boa, e poi la fascia d'età dopo di noi che si avvicinava in una massa gigantesca di schizzi bianchi. Li ignorai e cercai di continuare a nuotare dritto davanti a me, seguendo il resto dei nuotatori che avevo attorno.
Presto, raggiungemmo i ritardatari dalla fascia di età prima di noi. Sapere che stavo superando qualcuno, fu veramente emozionante. Mi fece sentire forte e veloce. Mi diede fiducia.
Avevo le braccia stanche, ma quando arrivai alla riva mi sentivo sorprendentemente bene. Alcuni nuotatori attorno a me cercarono di alzarsi troppo presto, e si trovarono a camminare lentamente nell'acqua. Ricordai il consiglio di Max: continua a nuotare finché non tocchi la sabbia con le mani. Appena la toccai, mi alzai in piedi e uscii dall'acqua.
"Vai, vai, vai!" ci urlava la folla. Corsi sulla spiaggia con l'adrenalina nelle vene. Feci diversi passi per ritrovare la stabilità. Dopo essere stata orizzontale per mezz'ora, stare in piedi mi sembrava strano. Seguii la moquette fino al marciapiede e poi nella zona di transizione. Percorsi le file di bici fino alla quarta, dove trovai la mia. Metà delle bici erano già partite, quindi mi fu più facile trovarla.
Mi sedetti a terra, mi tolsi la muta, mi asciugai i piedi come meglio potei, e poi mi misi i calzini e le scarpe da ciclismo. Poi il casco, che fissai sotto il mento. Sganciai la bici e la portai fuori dalla zona di transizione, dove un giudice mi stava aspettando. Quando varcai la grande linea rossa, mi fece un cenno con la testa e montai rapidamente in sella.
Quando iniziai a pedalare, sentii le gambe pigre. Mi allontanai lentamente dal lago, passando davanti alla folla di spettatori che applaudiva e suonava dei campanacci. Poi mi trovai sulla pista, e l'unico suono era il vento nelle orecchie.
Pedalai con calma per i primi otto chilometri. Quando sentii che il battito cardiaco si era stabilizzato, misi una marcia più alta e iniziai a volare. Superai un ciclista, poi un altro. Dopo tante lezioni con Max, la bici era la mia disciplina più forte. Mi rannicchiai sulle impugnature da triathlon, coi gomiti appoggiati sui cuscinetti, nella posizione più aerodinamica.
Ci dirigemmo a nord est e vedemmo il sole sorgere dall'orizzonte, che diffondeva una bellissima alba viola e rossa nel cielo. Mi sentivo come una macchina, e continuavo a mettere marce sempre più in alte. Superai varie donne con "41-45" scritto in pennarello sui polpacci, ed esultai silenziosamente ad ogni una. Poi superai delle donne della fascia di età 36-40 anni. Superai anche alcuni uomini. Quello mi diede davvero la spinta in avanti, aiutandomi a sopportare il dolore dei quadricipiti.
Superai così tante persone che mi dispiacque quando girai su Magnolia Street e arrivai alla transizione bici-corsa La folla era densa, piena di gente locale di Denver che tifava e agitava cartelli. Li guardai con entusiasmo, alla ricerca di qualcuno che facesse il tifo per me. Non vidi nessuno.
Scesi e spinsi la bici fino alla rastrelliera. Poi mi sedetti a terra per togliermi le scarpe da ciclismo e indossare quelle da corsa.
"Stai andando bene, Kat!" gridò Max da destra. Mi girai sorridendo... ma c'era solo lui.
"Come ti senti?"
"Un po' stanca" dissi.
"È normale" disse energicamente. "Mancano solo 10 chilometri. Resta calma fino al sesto chilometro, poi svuota il serbatoio."
Non mi importava dei suoi consigli. "Dove sono gli altri?" chiesi.
Si guardò intorno e scrollò le spalle. "Staranno ancora dormendo. Non dimenticare di nutrirti!"
Presi la bottiglia d'acqua e una confezione di gel e corsi fuori dalla zona di transizione, senza energia.
Il percorso zigzagava tra i quartieri adiacenti a Magnolia Street. Lunghe strade residenziali fiancheggiate da alte querce. C'era una buona folla. Cercai di ritrovare la forza di correre nelle gambe. C'era un sacco di gente sui portici delle case, a sorseggiare caffè e a salutarci. Una bambina aveva allestito un tavolo con dei bicchierini di Gatorade. Ne presi una e la ringraziai.
Mi facevano male le gambe, quindi accorciai la falcata fino a una corsa con passi rapidi e brevi. Piuttosto che sciogliermi, mi sentivo più esausta ad ogni chilometro che passava. Non avevo più energia nei quadricipiti. Ben presto, altri corridori iniziarono a sorpassarmi. Un uomo nella fascia d'età 25-29, poi una donna del gruppo 41-45. Quando mi superò, imprecai e cercai di accelerare il ritmo, ma il dolore alle ginocchia mi costrinse a rallentare di nuovo.
All'ottavo chilometro cominciai a pensare di camminare. Solo per un minuto, disse il diavoletto sulla spalla, o forse due. Così mi riposerei e sarei rinvigorita per finire in bellezza. Meglio camminare ora che sulla dirittura d'arrivo.
Quando ormai stavo per arrendermi, li vidi.
Più avanti, accanto a un idrante, c'era la grande, inconfondibile massa di muscoli di Finn. E dietro di lui c'erano due forme simili, anche più grandi. Quando riconobbi i suoi fratelli e suo padre, rimasi esterrefatta. Erano venuti a vedere la gara! Accanto a loro c'era Brody, che quando mi vide alzò i pugni al cielo e spalancò la bocca in un grande sorriso.
Poi vidi i nostri figli.
Accanto a Brody c'era Julia, la nostra quindicenne. Aveva l'età in cui le ragazze fingono di non interessarsi a nulla, ma saltava e urlava eccitata coi capelli biondi che le fluttuavano attorno al viso come una tendina.
John, che aveva dodici anni ed era magro e allampanato come suo padre Max, aveva in mano un cartello:
SEI LA MIA EROINA, MAMMA!
Mi ci volle un momento per trovare Sabella, la nostra bambina di tre anni. Era dietro a tutti, sulle spalle di Hristo, che chiamava amorevolmente nonno Hissy, e mi salutava come se temesse di non essere vista.
A completare il gruppo c'erano Darryl, Ethan e Nathan. I gemelli erano i più alti del gruppo ed erano nella squadra di basket della Colorado State.
Per completare, indossavano tutti delle magliette uguali con la scritta "SQUADRA KAT" in grandi lettere maiuscole. Il mio piccolo gruppo di cheerleader.
Quando mi avvicinai, urlarono ed esultarono. Quello mi diede un'iniezione istantanea di energia, come se mi avessero toccato i quadricipiti e le ginocchia doloranti con una bacchetta magica. Allungai il passo per correre fiera fino da loro, e mi fermai rapidamente per abbracciare John e Julia.
"Forza mamma, ce la farai!" urlò Sabella dalle spalle di suo nonno. "Non puoi fermarti, mamma, è una gara!"
"C'è sempre tempo per un abbraccio" le risposi, e corsi via. John, Julia, Nathan ed Ethan corsero lungo il marciapiede accanto a me, suonando più forte le lingue di Menelik.
Dopo quello, iniziai a volare, come se stessi planando sulle nuvole.
Pochi istanti dopo, voltai su Magnolia Street ed entrai nel tratto finale. C'erano due o tre file di spettatori, e così tante voci che non riuscivo a distinguerne nessuna.
Passai sotto l'arco gonfiabile e mi fermai, esausta.
Il minuto successivo fu sfocato. I volontari mi misero una medaglia al collo e mi porsero cibo e bevande. Quando uscii dall'altra parte, di fronte al mio negozio, fui ricevuta dall'enorme abbraccio di Max.
"Sei stata incredibile" disse. "Una prima gara fantastica."
"Non so se ti conviene toccarmi, adesso. Probabilmente puzzo come un asino. E sono tutta sudata."
"Non m'importa niente, sono troppo orgoglioso" disse, stringendomi.
Mi allontanai e lo guardai. "Gli altri stavano dormendo, eh?"
Fece un sorriso furbacchione. "Non potevo rovinare la sorpresa."
Col tempo, era diventato difficile tenere segreto il fatto che avevo tre uomini, soprattutto dopo che avevamo avuto dei figli. Darryl era molto solidale, anche se si divertiva ancora a prendermi in giro, ma la sorpresa più grande fu la famiglia di Finn. Suo padre Hristo e i suoi fratelli Atanas e Dragan, vedevano molto di buon occhio il fatto che Finn mi dividesse con Brody e Max. Probabilmente perché si rendevano conto che eravamo felici, tutti e quattro insieme. Chi avrebbe potuto non essere d'accordo, dal momento che eravamo più felici e più soddisfatti della maggior parte delle famiglie tradizionali?
Mi chiedevo cosa avrebbero pensato i miei genitori. Nel fondo, pensavo che avrebbero reagito come Hristo. Avrebbero visto che ero felice, e sarebbero stati fieri di me.
"Veramente" disse Max, "mi sorprende che Sabella l'abbia tenuto segreto per così tanto tempo. Ha saputo una settimana fa che nonno Hissy sarebbe venuto."
Sbattei gli occhi. "Sabella ha tenuto un segreto?"
"Incredibile, no?"
Sospirai. "Diventa ogni giorno più furba."
Dopo un attimo, in resto della nostra famiglia arrivò di corsa a salutarmi.
"Mamma, mamma, mamma!" Sabella si agitava sulle spalle di Hristo, fino a quando non la mise giù e corse ad aggrapparsi alle mie gambe. Ormai ero abituata a quello, ma debole com'ero mi fece quasi cadere.
"Sei stata fantastica!" disse Julia, più eccitata che mai. "Non so come abbia fatto!"
"È stato incredibile" ammise John. Aveva lo stesso atteggiamento disinvolto di suo padre Max. "Congratulazioni, mamma."
Poi Finn mi avvolse nel suo enorme abbraccio. "Sono felice che finalmente sia riuscita a farlo, dopo quindici anni di preparazione."
"Anch'io."
Nel corso degli anni, avevo cercato di allenarmi per diverse maratone. Dopo l'apertura del nuovo negozio, avevo iniziato ad allenarmi per lo sprint triathlon, ma poi avevo scoperto di essere incinta di Julia. Dopo tre anni, ricominciavo ad avere un po' di tempo libero per allenarmi, ma dopo solo due mesi di allenamento, scoprii che era in arrivo John. Quando loro due erano piccoli, la mia vita era molto impegnativa, e poi avevo avuto Sabella, ma alla fine stavo recuperando un po' di tempo per me stessa.
Questa volta non c'era nessuna gravidanza che potesse fermarmi. O almeno, non sapevo di essere incinta.
Brody spinse via Finn e mi diede un lungo bacio. Molto lungo. "Papà, che schifo" si lamentò Julia, facendo un rumore di soffocamento.
"Sto solo dimostrando affetto alla mamma."
"È nauseante" insistette lei.
Io e Brody ci scambiammo uno sguardo furbo, poi mi girai verso di lei e le dissi: "Non ti è sembrato nauseante, quando guardavi la TV con Parker, la settimana scorsa."
Julia sgranò gli occhi. "Mamma!"
"Chi la fa l'aspetti" disse Brody, e mi diede un ultimo bacio per rincarare la dose. Poi mi disse: "Il tuo tempo sulla bici è ottimo, ma hai rallentato nella corsa a piedi."
"Probabilmente ho esagerato sulla bici" ammisi. "Stavo superando un sacco di gente, quindi ho spinto più di quanto avrei dovuto."
Poi arrivarono Nathan ed Ethan a darmi il cinque. "Bravissima, zia Kat" dissero entrambi. "Il triathlon è duro."
"È vero" disse Julia ai suoi cugini, sogghignando. "Molto più difficile che giocare a uno stupido gioco con una palla."
"Il basket non è stupido!" rispose Ethan. "Ci vuole molta abilità e resistenza."
"Sì, certo."
"Dobbiamo correre sempre!" ribatté Ethan. "E dobbiamo difenderci dall'altra squadra..."
Nathan alzò gli occhi al cielo. "Perché hai fatto dei figli, zia Kat? Noi non volevamo dei cugini."
Julia gemette, facendo ridere tutti, il che la fece gemere ancora più forte. Amavo la mia figlia maggiore, ma non vedevo l'ora che andasse al college.
"Mamma, mamma." Sabella mi tirò la maglia del triathlon per attirare la mia attenzione. "Hai vinto?"
"L'importante non è vincere, ma arrivare fino alla fine della gara."
Mi guardò scettica. "Non mi hai risposto."
Risi. Era competitiva come suo padre Finn. E anche determinata. "No, non ho vinto."
Max inspirò forte. "Tesoro, penso che tu sia sul podio!"
Girai di scatto la testa verso di lui. "Non è possibile."
Mi mostrò il cellulare. "Terzo posto nella tua fascia d'età! Riceverai un'altra medaglia nella cerimonia di premiazione!"
"Quindi hai vinto qualcosa" disse Sabella acutamente.
Quando ne presi coscienza, iniziai a ridere e a esultare. "Sono arrivata al podio!"
"Io non ci sono mai arrivato" disse Brody con una risata. "E faccio triathlon da quindici anni."
John diede una gomitata a suo padre e gli disse: "Papà, penso che sia più veloce di te."
Max sorrise. "Non esagerare."
"È molto più veloce" annunciò Sabella con voce acuta. "Ti ho visto nell'altra gara, il mese scorso. Sei arrivato quinto."
Ovviamente, il quinto posto assoluto di Max nel gruppo professionisti era molto più importante del mio terzo posto di oggi, ma lui non glielo fece notare. Invece, sollevò Sabella e ammise: "Forse hai ragione. È molto più veloce di me. Tua madre è una donna incredibile."
"È vero" disse Finn, facendo l'occhiolino.
"Ehm, quanto manca alla cerimonia di premiazione?" intervenne Darryl. "Perché io e Paul ti abbiamo preparato una sorpresa, nel negozio, e fa rima con Lago di Cioccolato."
Mi morsi il labbro. "Ho fame di cibo vero. Voglio una fetta di quella torta adesso, anche se arrivo in ritardo alla cerimonia di premiazione."
Darryl si avvicinò, mi mise un braccio attorno al collo e mi sussurrò.
"Mamma e papà sarebbero fieri."
Lo fissai: "Lo so."
La mia grande famiglia mi accompagnò tra la folla verso Vinyl High Records, tutti con un grande sorriso sul volto.