SIZZLING ROMANCE WITH A KICK-ASS PLOT
Hail Mary
Mary Beth
Tre anni dopo
Camminavo avanti e indietro nella suite stampa dell’AT&T Stadium, nervosa come non lo ero mai stata. Da lì riuscivo a vedere tutto il campo, gli spalti erano stracolmi di tifosi che intonavano cori a sostegno della squadra che stava per fare il suo ingresso.
«È solo un’altra partita» mi ripetei a bassa voce. «Una partita come tante».
Ero eccitata. Super eccitata, anche se era il nervosismo a prevalere su tutto. Una birra mi avrebbe aiutata a calmarmi, ma ovviamente non potevo bere alcol.
Non mentre allattavo.
Lanciai un’occhiata a Bill. Era seduto con un fagottino in braccio, lo cullava dolcemente su e giù. Michael, mio figlio, compiva quattro mesi quel giorno. Aveva un ciuffetto di capelli neri sulla testina a forma di uovo, ma sorrideva di continuo mentre fissava Bill.
«Ma quanto sei carino?» gli diceva lui. «Sei proprio un ometto bellissimo! Sì che lo sei!»
Barker, il mio capo, si materializzò accanto a me. «E il cuore del Grinch si allargò di tre taglie quel giorno».
«Chi avrebbe mai detto che Bill adorava i bambini?» dissi.
«Le persone sono piene di sorprese». Fece un cenno verso il campo, dove le cheerleader dei Dallas Cowboys si stavano esibendo. «Lui come sta?»
«Bene» risposi. «O almeno così mi è sembrato».
Barker grugnì con aria scettica. «Scommetto che non vedi l’ora di scriverci un articolo».
Lo guardai di sbieco. «Ho ancora sei settimane di maternità».
«Certo, ma non vuol dire che tu non stia scalpitando per rimetterti all’opera. Se cambi idea e decidi di mandarmi un paio di pezzi...»
Aveva ragione. Morivo dalla voglia di scrivere. Essere in maternità non aveva impedito al mio cervello di continuare a lavorare. Scrivevo articoli per l’Herald di continuo nella mia testa. Non potevo farci niente. Amavo il mio lavoro.
Ma quei pezzi rimanevano nella mia testa. Il focus della mia vita era cambiato e pesava appena sette chili.
La mia esistenza aveva subìto una rivoluzione negli ultimi tre anni. All’Herald, Barker ormai si fidava a lasciarmi i pezzi più importanti. Era quel genere di giornalismo investigativo a cui avevo sempre anelato ed ero io a scegliere su quale storia concentrarmi.
Quello che mi rattristava però, era stato rinunciare all’incarico dei Frenzy. Ero stata costretta a fare un passo indietro, in parte perché ero impegnata in altri settori e in parte per un conflitto d’interesse, data la mia relazione con Colt e DJ. Questo però non mi impediva di passare qualche gossip succoso a Bill riguardo ai Frenzy e ai Cowboys.
E ogni tanto riuscivo comunque a firmare qualche pezzo sul football.
La porta della suite si spalancò ed entrarono i miei due amanti dei Frenzy. Colt e DJ indossavano dei completi aderenti, il primo sul grigio e il secondo sul blu.
«Siamo in ritardo?» chiese DJ.
«Arrivate giusto in tempo, la partita sta per cominciare».
«Parlavo dello show delle cheerleader, Asso» chiarì lui. «Oh, maledizione. Stanno già andando via».
Gli diedi un buffetto sul braccio. «Perché ci avete messo tanto?»
«L’aereo ci ha messo un secolo a raggiungere il gate per lo sbarco, c’erano dei ritardi» spiegò Colt.
«Ah!» esclamò DJ con una risata. «Il vero motivo è che Colt guida come un nonnino. Senza offesa, Billy Bob».
Bill rimase perplesso. «Nessuna offesa. Ma mi offende che tu pensi che dovrei offendermi. Ho solo quarantacinque anni!»
«Che ne so, amico» fece DJ. «Stai perdendo un po’ di capelli...»
«Non tutti hanno una chioma folta e lucente, sai» ribatté Bill.
DJ si passò una mano nella massa di capelli biondi e la riavviò come se fosse un modello per shampoo. «Vero». Prese Michael dalle braccia di Bill ed esclamò: «ECCO IL MIO PICCOLO PALLONCINO DA FOOTBALL! Pronto a fare un touchdown?»
Lo resse in aria come un vero ovale da football e corse in cerchio per la suite. Michael squittì, riempiendo la sala dei suoi versetti.
Colt mi cinse le spalle e mi baciò una guancia. «Hai parlato con Kody?»
«Non da quando siamo usciti di casa».
«Andrà bene» disse lui. «Rilassati».
«Sono rilassata».
Colt mi lanciò un’occhiataccia.
«Okay, sono un fascio di nervi» ammisi. «Ma questa partita è importante e odio sentirmi così inutile».
«Stai con noi da quattro anni ormai, dovresti esserci abituata».
«E invece non lo sono».
Mi baciò di nuovo sulla guancia. «Ho guidato piano di proposito, così DJ si sarebbe perso l’esibizione delle cheerleader».
Sentii un sussulto alle mie spalle. «LO SAPEVO!»
All’improvviso, il vociare dello stadio si trasformò in urla esaltate mentre i Philadelphia Eagles effettuavano il calcio d’inizio. I Cowboys presero la palla nella end zone e Kody Murphy entrò in campo.
Feci un bel respiro ed espirai lentamente. «Una partita come tante».
Nella suite c’era una televisione che trasmetteva la telecronaca della partita sui canali nazionali. Colsi qualche frase del telecronista: “...la sua prima partita da titolare, e arriva nel momento in cui i Cowboys hanno un disperato bisogno di una vittoria. Vincere oggi assicurerebbe alla squadra un ripescaggio per la National Football Conference...”
«Sembra una storia già vista, eh?» commentò Colt.
Ridacchiai. «Un po’. Kody che subentra al quarterback titolare con i playoff in ballo...»
«Però quando è subentrato a me ha avuto qualche partita di rodaggio. Questo invece è l’ultimo match della stagione prima dei playoff...»
Lo gelai con lo sguardo. «Così non mi aiuti a calmarmi».
«Kody ha dei nervi d’acciaio. Non c’è nessuno di cui mi fiderei di più in una situazione simile».
Kody si avvicinò al centro e la palla fu snappata. Indietreggiò reggendola tra le mani mentre scrutava i ricevitori. Si girò verso sinistra, caricò il lancio...
...e venne placcato su un fianco da uno dei difensori avversari.
I tifosi inveirono quando venne atterrato. L’impatto fu così forte che la palla gli sfuggì di mano, rotolando sull’erba finché un lineman dei Cowboys non si gettò a recuperarla.
Guardai Colt. «Dicevi?»
DJ mi affiancò con Michael tra le braccia. «Vedi quell’uomo che si sta rialzando piano piano sul campo? Quello è il tuo papino! L’hanno placcato alla prima azione della partita!»
«DJ!» sbottai.
«Sto solo spiegando al mio palloncino cosa succede. Guarda, si è rialzato. Va tutto bene. Qui c’è una lezione da imparare, Mikey. Non importa quante volte la vita ti butti giù, tu devi sempre rialzarti. So che per adesso non riesci neanche a stare seduto da solo, ma capirai tra qualche anno».
I Cowboys optarono per una giocata di corsa nell’azione successiva, guadagnando qualche yard e ritrovandosi al terzo down con ancora quindici yard da percorrere per via del placcaggio di prima. Kody prese la palla snappata e indietreggiò. Un altro difensore degli Eagles gli correva incontro ma stavolta lui uscì dalla tasca di protezione per schivarlo. Corse orizzontalmente, lontano dai difensori, mirò verso la metà campo avversaria e lanciò. La palla sfrecciò in aria fino a un ricevitore che la prese dritta in petto e sprintò fino all’end zone per un touchdown.
Urlai come una pazza. Colt alzò un pugno mantenendo la calma e DJ sollevò Michael agitandolo su e giù.
«Il tuo papino è il miglior quarterback della famiglia!» esclamò DJ.
«Ehi! Kody ha imparato quella mossa a girare da me» puntualizzò Colt.
Tirai un sospiro di sollievo. Sapevo che il primo possesso palla era sempre il più difficile. Ora Kody poteva rilassarsi e calarsi davvero nella sua veste di quarterback dei Cowboys. Passare in vantaggio a inizio partita, allentava molto la tensione.
Il mio nervosismo fu rimpiazzato da un orgoglio sconfinato. Ero così fiera dei miei tre atleti, soprattutto di Kody. Ne aveva superate così tante nella vita per arrivare dov’era. Aveva lavorato più sodo di chiunque, persino di Colt e DJ.
Negli ultimi tre anni avevamo vissuto come una grande famiglia felice nella villa di DJ. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato di provare una gioia così assoluta. E ora avevamo anche un figlio – il primo di molti, speravo. Volevo riempire la casa di una decina di Colt, DJ e Kody in miniatura.
In quei tre anni però, i riflettori erano stati puntati perlopiù su Colt e DJ. Erano le star della loro squadra, mentre Kody era solo una riserva – anche se di un team importante come i Cowboys. Ma finalmente era arrivato anche il suo momento e Kody se la stava cavando alla grande.
Quando stai con qualcuno – o più di “uno” – i successi di quella persona sono anche i tuoi. E l’orgoglio che provavo in quel momento era superato solo da quello che avevo provato nel tenere in braccio Michael per la prima volta.
«Vai così» sussurrai a me stessa. «Vai alla grande, Kody».
Kody raggiunse il bordocampo dopo il touchdown. Diede il cinque ai suoi compagni e alzò le mani sopra la testa, unendole a formare una A.
«Ehi! Quella è la mia dedica!» si lamentò DJ.
Sorrisi apertamente. Adoravo quando DJ fingeva di prendersela. «Non so. Preferisco quando lo fa lui» dissi.
«Ma lui neanche ti chiama Asso!» protestò. «Solo io posso farlo!»
Colt mi cinse in vita e mi baciò i capelli sopra l’orecchio. «Devi avergli fatto un bel discorsetto d’incoraggiamento, Asso».
«Smettila!» sbottò DJ. «Smettetela di chiamarla Asso!»
«Pare che Michael non sia l’unico bambino qui dentro» mormorò Colt, nascondendo un sorriso.
«Ehi, Asso» fece Barker. «Sicura che non vuoi tornare in ufficio domani?»
DJ puntò un dito minaccioso contro il mio capo. «Non è più divertente!»
Bill si alzò. «Vado a prendermi un hot dog. Vuoi qualcosa, Asso?»
Scoppiammo tutti a ridere di fronte alle proteste di DJ, come un’unica, grande famiglia felice.