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Il Gruppo di Studio
Scena extra

Sarah
Cinque Anni Dopo

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Mi chinai sul banco di lavoro per esaminare gli schemi della macchina di fabbricazione. Erano ore che lavoravamo in laboratorio.
Non era un laboratorio qualsiasi. Era il mio laboratorio.
"Capisci cosa intendo?" chiesi. "Se la cinghia di trasmissione inizia qui, gli operai non potranno di spostarsi facilmente attorno ad essa."
Il capo ingegnere si grattò il mento. "Sì, va bene. Ora lo vedo. Hai ragione."
"Comunque la soluzione è facile" risposi. "Spostiamo tutto di trenta centimetri."
Annuì. "Va bene. Dirò ai ragazzi di modificarla. Nessun problema!"
Lo guardai mentre portava i progetti agli altri ingegneri per discutere dei cambiamenti. Era soddisfacente dare ordini e vederli eseguiti quasi immediatamente. Io avevo la competenza e l'autorità, e nessun altro.
Gli anni trascorsi alla ABQ Labs erano stati belli. Ero cresciuta molto, a livello professionale e tecnico. Quel lavoro mi aveva reso la donna che ero e ogni tanto, mi mancava ancora. 
Ma poi si era presentata questa opportunità. Anni fa, quando stavo completando il progetto del master, la mia tesi non era realizzabile. L'idea di riadattare le vecchie schede madri non aveva senso dal punto di vista finanziario. Era più economico comprarle nuove. Ma da allora, molto era cambiato. Il prezzo del silicio e del germanio era salito alle stelle e le risorse erano scarse. Inoltre c'erano nuovi sgravi fiscali per le aziende che investivano in programmi di riciclaggio di componenti elettronici.
Ora, l'idea di aggiornare le schede madri era diventata redditizia e lo diventava ogni giorno di più.
Avevo lasciato il mio lavoro un anno prima, per avviare una società che eseguiva quegli aggiornamenti manualmente. Era un lavoro lento, un computer alla volta. Eravamo cresciuti tantissimo quell'anno, espandendoci con succursali in tutto il sud-ovest. Ma ora, stavamo facendo il passo successivo. Stavamo costruendo macchine in grado di eseguire gli aggiornamenti automaticamente. Si inseriva una scheda madre a un'estremità e la macchina avrebbe eseguito le attività necessarie, come un medico che esegue un intervento chirurgico. 
Era la realizzazione di un sogno. 
"Signorina Hamilton?" chiamò uno degli ingegneri con un casco protettivo. "La stanno cercando."
Guardai l'orologio e uscii dal laboratorio. I tre investitori che avevano investito nella mia azienda, mi stavano aspettando nella grande sala conferenze. 
"Scusate il ritardo" dissi. "Era necessario apportare delle modifiche, ma va tutto bene."
"Nessun problema" disse Jerry. "Come sono i numeri di questa settimana?"
L'incontro con loro mi ricordò la discussione della tesi del master. Cercavano sempre errori o inconvenienti in qualsiasi cosa gli dicessi. Ma ero ben preparata e quelle presentazioni erano sempre un successo. 
"Siamo molto in anticipo sul programma" dissi, sopprimendo a malapena un sorrisetto. "Il malfunzionamento della macchina per l'incisione laser si è risolto facilmente, e stiamo facendo ottimi progressi su tutto il resto."
"Allora?" chiese il signor Jackson. "Non ci tenga in sospeso. Qual è la data prevista per il completamento?"
"Siamo in anticipo di due mesi sul programma" dissi con orgoglio. "Queste macchine automatizzate saranno operative entro il Labor Day."
Mi bombardarono di domande sui dettagli tecnici, ma si fidavano di quello che gli dicevo. Alla fine della presentazione, si congratularono con me e dissero di essere entusiasti dei progressi della mia azienda.
"Quando inizierà a produrre, farà un sacco di soldi" mi disse Jerry. 
Scrollai le spalle. "Sarebbe bello, ma per ora mi concentro sul lavoro."
"Quello è l'atteggiamento positivo! Ecco perché ha così tanto successo!"
Sorrisi. "Al college ho imparato a non dormire mai sugli allori."
Dopo che se ne furono andati, guardai l'orologio. Di solito lavoravo fino a tardi tutte le sere, ma oggi era venerdì e la squadra di costruzione non aveva più bisogno di me, per quel giorno. 
Salutai il capo ingegnere e uscii dall'ufficio. La mia Tesla Model Y andava ancora forte dopo cinque anni, ed era fantastico poiché il prezzo del carburante era salito alle stelle. Adam diceva sempre di comprarne una nuova, ma quella andava ancora bene.
Il tragitto fino al Museo d'Arte dell'Università del New Mexico era breve. Comprai un biglietto dalla simpatica signora dietro al bancone e poi controllai il programma dei percorsi guidati. 
"Il prossimo tour inizia tra venti minuti" mi disse la signora. 
"Va bene. Raggiungo quello che è già iniziato."
Vagai per il museo. I pavimenti erano in legno scuro e le pareti erano di piacevoli tonalità di grigio, e facevano risaltare i colori delle opere d'arte. Attraversai la sezione di Arte Moderna fino a raggiungere quella dell'Impressionismo. Da lì, sentii la sua voce echeggiare nelle sale e riuscii a rintracciarlo.
Joey era di fronte a un ritratto di due ragazze. Era circondato da una folla di dieci o dodici visitanti del museo in semicerchio, e spiegava il quadro con entusiasmo.
"Renoir amava tutto ciò che era luminoso e sereno. Qui ha raffigurato due giovani donne radiose in una giornata calda. La sorella maggiore, che indossa la flanella blu che le donne usavano per le passeggiate in barca, è in posa al centro del suggestivo paesaggio della piccola città dove Renoir trascorse gran parte della primavera del 1881. Osservate come guarda distrattamente oltre la sorella minore, che sembra essere appena entrata nel quadro per gioco?"
Lo osservai da lontano, da dove non poteva vedermi. Mi piaceva vederlo così felice e appagato. Amava lavorare nel museo, sia per condurre le visite guidate che per organizzare le mostre. Nulla è più attraente di un uomo a suo agio nel suo elemento.
"E così si conclude la visita" disse tristemente. "Potete continuare a visitare il museo e vedere il resto della mostra di Renoir che non abbiamo visto oggi. E se qualcuno ha qualche domanda, non esitate a chiedere!"
I visitatori si dispersero. Qualcuno diede una mancia a Joey, che lui accettò con grazia. Poi un ragazzino gli tirò il braccio.
"Ho una domanda" disse con voce acuta. "Come si diventa guida del museo?"
Joey si accovacciò al livello del bambino. "Questa è un'ottima domanda! In primo luogo devi laurearti in una materia artistica. Di solito è richiesto anche un master in Storia dell'Arte. Dopodiché otterrai il diploma di guida museale. Di solito ci vogliono diciotto mesi. E poi sarai pronto, ometto!"
Il ragazzo si rivolse a sua madre. "Voglio farlo! Voglio studiare Storia dell'Arte!"
La madre lanciò a Joey un'occhiata paziente. "Timothy è più interessato ai computer. Non è vero, Timothy?"
"Non mi interessano i computer. Voglio studiare l'arte! E dipingere!"
Joey fece un gesto rassicurante alla madre, che si allontanò. Mi avvicinai per sentire cosa sussurrava al ragazzo.
"Ascoltami, ometto. Devi seguire il tuo cuore."
"Davvero?"
"Certo, amico. Non lasciare mai che qualcun altro ti dica cosa fare nella vita. Fa' quello che vuoi, perché la vita è la tua. Capito?"
Salutò il ragazzino col pugno, e lui corse da sua madre a parlarle entusiasta di Renoir e dell'impressionismo.
Joey si alzò, guardò il ragazzo e sorrise. Fu allora che mi vide. Il suo bel viso si illuminò come se fossi Babbo Natale. "Prof! Che ci fai qui?"
Mi abbracciò stretto. Era ancora forte come un toro. "Non sono la tua prof da molto tempo" dissi. Era uno scherzo che facevamo almeno una volta alla settimana.
Joey mi baciò sulla fronte. "Non è vero. Mi insegni sempre della roba. Come l'altro giorno quando stavi spiegando, uhm, la differenza tra, ah, quei due tipi di circuiti, credo... aspetta, non dirmelo..."
Risi e dissi: "Apprezzo che cerchi di ascoltare tutto ciò che ti dico, ma non ci sono esami da superare. Sono uscita presto dal lavoro e ho deciso di venire a vedere il mio curatore preferito."
"Puoi farlo? Perché che sei il capo e tutto?"
Gli feci scivolare un braccio attorno mentre camminavamo. "Essendo il capo, posso fare tutto quello che voglio. Ma siamo anche molto avanti sui tempi. Finiremo con due mesi di anticipo. Quindi, il venerdì, posso permettermi di sgattaiolare via prima per vedere i miei ragazzi. E per prendere la pizza."
"Cazzo sì, la pizza. Ora sì che si ragiona."
Abitavamo a cinque chilometri dal museo, quindi Joey di solito andava al lavoro in bicicletta. Quel giorno lasciò la bici nel suo ufficio e tornò a casa con me. Sulla strada di casa, prendemmo due pizze grandi. Una hawaiana e una al salame piccante, le stesse che prendevamo sempre. La pizza del venerdì sera era la nostra abitudine, che mi era mancata molto negli ultimi due mesi che avevo lavorato in laboratorio.
Quando arrivammo a casa, le altre due auto erano già nel vialetto. Joey e io arrivammo dalla porta del garage e io gridai: "Pizza! Chi la vuole?"
Adam venne a ricevermi in cucina con un mezzo sorriso. Sembrava ancora giovane, anche se aveva quasi quarant'anni. Aveva delle rughe intorno agli occhi quando sorrideva, ma quello lo faceva sembrare distinto. Aveva ancora i suoi capelli castani scompigliati che aveva sempre avuto. 
Mi baciò e disse: "Sono contento che ti sia liberata prima."
"Anch'io. Com'è andata al lavoro?"
I suoi occhi brillarono di eccitazione. "Benissimo. Stiamo lavorando al progetto di un nuovo chip..."
Io sorridevo mentre mi spiegava il loro progetto più recente. Ora era l'amministratore delegato della ABQ Labs. Prendeva tutte le decisioni strategiche più importanti, piuttosto che sporcarsi le mani. Temevo che, con quella promozione, gli sarebbe mancato l'aspetto tecnico, ma adorava essere al comando. Era fatto per quello.
Joey aprì tre bottiglie di birra e le distribuì. "Buon venerdì."
Facemmo cin cin. "Dov'è Paul?"
Adam fece un gesto con la sua birra. "Dove può essere? Fuori nel magazzino a giocare con le sue cose."
Uscii nel cortile sul retro. Fitzy balzò in piedi dall'erba vicino al magazzino e si avvicinò per salutarmi, saltando sulle zampe posteriori per leccarmi il viso. Giocai con lui per qualche secondo e poi entrai nel magazzino, dove le centinaia di macchine e ventole ronzavano sommessamente. Il suo mining di criptovaluta andava  forte, più forte che mai. Non si stancava mai del suo hobby, e noi eravamo contenti per lui. Generava una bella fonte di reddito extra per la famiglia.
La famiglia. Sorrisi pensando a quello, perché ora, eravamo diventati una famiglia. Era pazzesco, e per la maggior parte delle persone non aveva alcun senso, ma per noi andava bene. Era la cosa più importante.
E se qualcuno sussurrava dietro le nostre spalle o ci guardava in modo strano alla festa di Natale alla ABQ Labs... li mandavamo affanculo.
Infilai la testa nel magazzino. "C'è la pizza."
Paul, con la sua maglietta stretta dei Metallica, aveva le mani dentro una torre di computer. "Ehi, tesoro. Arrivo tra un po'."
"Quello su cui stai lavorando può sicuramente aspettare."
Scosse la testa senza alzare lo sguardo. "Questa macchina non esegue il POST. Penso che ci sia un corto da qualche parte, ma non riesco a trovarlo."
"Quello può sicuramente aspettare fino a dopo la pizza."
Gemette. "Mi farà impazzire. Arrivo quando avrò finito."
Posai la birra e mi misi accanto a lui. "Fammi dare un'occhiata. Uno sguardo esterno può aiutarti."
"Grazie" disse, lasciandomi il posto.
Paul aveva ragione: c'era un cortocircuito da qualche parte. A meno che la batteria CMOS non fosse scarica, ma era improbabile. Spostai i cavi e vidi un pezzo di metallo appoggiato alla scheda madre.
"Penso di averlo trovato."
Infilai la mano in profondità nel computer, cercando senza vedere. Le mie dita sfiorarono qualcosa che si mosse. Era un pezzo di metallo, freddo e liscio. Non aveva spigoli ed era curvo, con qualcosa sfaccettato su un lato. Lo tirai fuori... e sussultai. 
Era un anello.
Un anello con un diamante taglio principessa.
"Cosa..." sussultai. "Cos'è questo? Paul? Che cos'è questo?"
Paul si accovacciò come se stesse prendendo qualcosa. Ma poi mi guardò dal basso. Aveva le lacrime agli occhi. Quando capii cosa stava succedendo, mi girai verso di lui. Urtai la bottiglia di birra col gomito e la rovesciai su tutto il piano di lavoro.
"Cazzo! Mi dispiace, lo pulisco..."
Paul rise. "Non importa. Non fa niente."
Quello mi stupì. Se non si preoccupava della birra versata sul suo piano di lavoro, quello era davvero un momento importante.
"Volevo farlo da molto tempo. Lo so da anni, ma mi sono trattenuto perché non ero sicuro che tu fossi pronta. Beh, ora sono abbastanza sicuro che lo sia. Sarah Hamilton, vuoi sposarmi?"
Le lacrime mi scorrevano sul viso. "Questo... questo è un regalo piuttosto grande. Non so come potremo mai essere pari, con questo."
Mi sorrise, gli occhi grigi brillavano. "Allora puoi passare il resto della vita a ripagarmi."
Dei passi scricchiolarono nel cortile. Joey apparve sulla soglia del magazzino e lanciò una forte imprecazione.
"Dannazione. Adam! Vieni subito! Paul ha rotto la tregua!"
Paul si alzò in piedi. "Sono stato il primo."
Joey lo colpì con un dito. "Questo non è giusto! Ne avevamo parlato!"
"Sarah mi sta facendo ripensare alla mia filosofia."
"Tregua? Quale tregua?" chiesi. Stavo ancora piangendo.
Adam venne di corsa e gemette quando vide l'anello nel mio palmo. "Dannazione."
"Dovevamo farlo insieme" disse Joey, lanciando un'occhiataccia a Paul. "Tutto nello stesso momento."
"Anche voi potete farlo adesso" sottolineò Paul.
Joey gettò le mani in aria. "Sto ancora aspettando il mio anello! Il gioielliere non ha ancora finito!"
"Sì" dissi, con la gola che si stringeva. Mi infilai l'anello sul dito. "Lo voglio, Paul. E lo voglio, Joey. E lo voglio, Adam. Tutti e tre, con o senza gli anelli."
Li abbracciai tutti individualmente. Alla fine, stavo singhiozzando in modo incontrollabile. Piangevo a dirotto. Fitzy mi guardò con la testa inclinata, come se non riuscisse a capire se c'era qualcosa che non andava.
"Non credo di averti mai visto piangere di felicità, Prof" disse Joey.
Scossi la testa. "Io... no! Sto piangendo... perché ho rovesciato... la birra... e la pizza... si sta raffreddando..."
Risero tutti e tre, poi mi abbracciarono. Mi circondarono e appoggiarono la testa sulla mia, come facevano quando avevo una brutta giornata e avevo bisogno di essere consolata. Quando ero con loro, mi sentivo al sicuro, nelle loro braccia. 
"Come è possibile che Paul non ci abbia aspettato?" sussurrò Adam. 
"Sì!" disse Joey, perentorio. "Una mossa da cretino, amico!"
"Lo ha fatto in modo molto creativo" risposi, asciugandomi la faccia. "Sarà difficile superarlo, per voi due."
Joey sbatté le palpebre. "Vuoi dire che dobbiamo ancora farti la proposta?"
"Su questa mano vedo solo un anello" dissi, tenendolo in mano. Il diamante brillava sul mio dito. Mi faceva sentire un formicolio nello stomaco.
"Che ne dici, se io ti do una pizza?" disse Adam, baciandomi i capelli. "È più buona di un anello di fidanzamento."
"La pizza è buona." Indicai Adam. "È meglio del fidanzamento."
Tornammo dentro ridendo, e iniziammo a discutere dei piani del matrimonio. Eravamo completamente felici, tutti e quattro insieme.

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